martedì 25 dicembre 2018

UN SERENO NATALE A TUTTI VOI






In questo giorno importante e significativo possa la pace e serenità del nostro Signore Gesù arrivare a tutti i popoli della terra.
SINCERI AUGURI DI BUON NATALE A TUTTI VOI DAL VOSTRO TONYPOET!
 

giovedì 20 dicembre 2018

ARTICOLANDO ( 28 ) : RECENSIONE DEL PROF. GIOVANNI TERESI ALLA PLAQUETTE "SOLFEGGI D'OBLIO" DEL POETA TOMMASO ROMANO









Articolando

 


Articolando, è una nuova rubrica per dar voce a tutti gli amanti della poesia, dell'arte, della storia, della pittura, della critica letteraria attraverso recensioni, relazioni e articoli strettamente culturali.
Chiunque volesse pubblicare può farlo mandando i propri scritti all'indirizzo di posta elettronica
tonycausi@alice.it grazie!


In questo n. 28 ritroviamo il Prof. GIOVANNI TERESI latinista e storico con una sua recensione alla plaquete poetica del poeta, saggista ed editore TOMMASO ROMANO dal titolo "SOLFEGGI D'OBLIO", edizioni All'insegna dell'Ippogrifo,2018. Una piacevole lettura a tutti voi!







Recensione di Giovanni Teresi a "SOLFEGGI D'OBLIO"


Lo spunto da cui partono i versi della raccolta è vario; ci sono espliciti riferimenti alle stelle, alla luna, ai paesaggi del mondo: tutti elementi che non comunicano con una voce ma con la sola presenza collocandosi, così, in un livello prelinguistico.
Consumiamo in noi,/presto,/l’incanto folgorato/quel che resta, allora/ in non beata solitudo/ non chiedendo perché/ e neppure un come/…/conservando/l’impronta di mani incrociate/che si sciolsero,/incredule/alla luna indifferente.”
“Attraversamenti dalla riva/adagiata/al cuore della terra/per giungere a lambire l’acqua/ dei Ciclopi.”
“Se ci fosse almeno un giorno/per non andare a cercarvi/fra visioni cui diamo nome di sogni/…/fra le cime, la terra e il mare …/
La voce umana è assoggettata alla finitezza di un corpo che cerca di resistere all’ineluttabilità del tempo; da questo presupposto parte la riflessione del poeta Tommaso Romano, che rivolge il suo sguardo alla realtà che lo circonda per abbandonarsi all'ispirazione, lasciandosi cogliere e trasportare da essa.
“ … né sogno né ebbrezza,/sovviene qualche ricordo/pochi volti e voci e labili accenni/che si diluiscono stanchi/senza menzogneri restauri/di vivezza presunta./
Il poeta diventa così unico possibile cantore della realtà, che nella sua complessità non può essere descritta dalla voce dell'uomo comune, ma solo da quella, ispirata ed elevata dalle contingenze, del poeta. Una silloge poetica che nasce da una forte esigenza: quella di mettere a nudo ciò che l'esistenza offre in ogni suo frangente, partendo dal reale per indagare il rapporto tra l'uomo e il mondo che lo circonda.
Noi  che vivemmo di radici/ e le sentimmo gemere/fra indifferenza e fuoco impuro/…/a noi che chiamammo verde il verde/…/non restano neppure/gli anfratti dei solchi/sradicati/ e vaghiamo con fievole speranza/alla ricerca risanante/di sementi al vento.”
L’oblio è parte della nostra natura e ha effetti decisivi sulla natura della realtà. Un evento non può essere preservato senza uno sforzo di mantenimento, così il nostro passato è fatto di ciò che è stato preservato, la nostra storia e ogni sua parte è tutto ciò che si è potuto salvare da un naufragio.
Il cumulo di fatti, eventi e canali attraverso i quali circola l’informazione e anche i documenti – è condannato, attraverso l’oblio, a non essere. Invece, nell’oltre l’oblio della voce si pone l’accento sul pensiero che i versi dei poeti esulano dal vero e proprio flatus vocis dell’uomo, poiché sono immortali.
Il principio di sicurezza esige un orientamento nel tempo, un’organizzazione delle sue latitudini, una disciplina dell’immaginario, una classificazione dei frammenti del passato, sotto forma di ricordi, tracce, rilievi, per disegnare mappe e topiche in cui si eserciti il nostro potere di saltare nel passato, installarsi nei suoi livelli, catturarlo, e ricondurne alla coscienza immagini e segni.
È lo esprime bene il nostro nei suoi versi:
Quella notte/d’un secolo fa/o d’un attimo infinito/torna impetuosa/e lieve/raggelando tepori non effimeri/segni sfiorati appena/…/Ma certezza è rammemorare/ciò che pure resta/oltre, ben oltre …”
Sembra che il pensiero occidentale, da Platone in poi, non sappia muoversi al di fuori dell’anamnesi e che il desiderio di ricordare risponda ad un’esigenza profonda di sicurezza.
Guardando gli orologi/dismessi volutamente/e non ricaricabili,/comprendiamo l’attesa/senza altro più che un barlume,/impercettibile/…/Non muterà il corso delle ore/ma potrà mostrarsi/ l’Immagine, almeno,/di ciò che agognammo.”
Ammoniva già Eraclito, non si debbono mai ascoltare le parole dette, ma la Parola che in esse si ri-vela, come ciò che viene dalla luce amando nascondersi. C’è chi ha chiamato Inconscio questa Parola che risuona nel buio del non-detto; certo è che la sua situazione di pienezza e di fecondità nella non-dicibilità, trova esplicita rispondenza nella terrifica alterità un tempo riconosciuta al Sacro, luogo impraticabile perché le tremende forze della vita avrebbero trascinato l’imprudente oltre le rassicuranti parentesi dell’esistenza umana.
E non consola la polvere/né l’umido calore/né il gelo/e neppure il tepore rapido, dura./Flebili o rocciose scorze,/consegnate al Mistero,/passano.”
Incisi, sentenze,/brevi frasi/condensati di sapienza/e di insipienza./Metafore per non dire/immagini per non velare/…/a nascondere/ il tempo che si consuma/fra consuetudini … /che neppure pagine annullano./Il silenzio di una notte/annuncia già/lo stridore/dell’assenza.”
Memoria che conferisce profondità interiore all’ “evento” collocandolo in un momento qualsiasi delle storia del soggetto o dell’oggetto poetico: e qui è tutta la libertà del poeta T. Romano che, passando (o volando) da un tempo all’altro, crea un tessuto quasi tridimensionale e, in tal modo, dilata anche lo “spazio interno” in cui si pone la ricerca poetica.
L’uomo moderno dovrà fare i conti con se stesso, abituarsi all’idea di non poter più abitare alcuna distanza, il mondo è diventato troppo vasto e incomprensibile e inabitabile e la memoria, quel fragile vascello con i suoi marinai sperduti nel gurgite vasto, si è inabissata nel fondo del mare.
Ora che ogni sensazione/frase gettata fra le altre/fiore che già appassisce/sembra farsi unica/consolatoria/occasione occupante/possibile,/non resta/che il turno dell’attesa/all’improvvisa chiamata/da un lontano/megafono invisibile,…/
 
Giovanni Teresi

(Nelle foto dall'alto: il Prof. Giovanni Teresi, la copertina di "Solfeggi d'oblio" e il poeta, saggista ed editore Prof.Tommaso Romano). 

sabato 1 dicembre 2018

XXXI PIGNA D'ARGENTO PREMIO INTERNAZIONALE DI SICILIANITA' 2018





 Martedì 4 DICEMBRE 2018
 
Premio Internazionale Pigna d’Argento
 
XXXI Edizione
 
Teatro – Orione Palermo - ore 20.30
 
La XXXI edizione del Premio Internazionale di sicilianità Pigna d’Argento, sarà celebrato con la premiazione di 15 personalità che, durante la loro vita, si sono particolarmente distinte nei vari settori dello scibile.L’Accademia di Sicilia, nel quadro delle sue attività istituzionali, ha fondato un premio da attribuire annualmente ad insigni cittadini che, nati od operanti in Sicilia, si sono particolarmente distinti, ciascuno nel proprio settore professionale, dando della nostra Terra un’immagine di operosità e di cultura.
Durante il suo lungo percorso, l’ambito riconoscimento è stato attribuito a personalità di elevato spessore come Capi di Stato e di Governo, Vertici delle Istituzioni Civili e Militari, artisti, letterati e scienziati di chiara fama, imprenditori di eccellenza, alti prelati e gente comune impegnata nel volontariato e nella difesa dei diritti umani, della legalità e della pace, come si può facilmente constatare consultando il nostro sito internet Accademia di Sicilia. Il 15 settembre 2004, inoltre, abbiamo avuto l’onore e la gioia di consegnare la Speciale Pigna d’Oro per la Pace a San Giovanni Paolo II, Sommo Pontefice, alla presenza di migliaia di persone plaudenti.
 
 
(Nelle foto la brochure con i nomi delle personalità premiate con la Pigna d'Argento e quella d'Oro e i nomi dei neo accademici).
 

mercoledì 21 novembre 2018

A PALERMO ALL'HOTEL JOLI' SI PRESENTA IL VOLUME DI EDOARDO DISPENZA "FIGURE CON PAROLE"




Venerdì 23 novembre 2018 alle ore 16.30 a Palermo in via Michele Amari n. 11,  presso l'Hotel Jolì  Sala Novecento Art & Events, si presenterà il volume di Edoardo Dispenza dal titolo: "FIGURE CON PAROLE". Dalla pittura alla penna il sentiero può essere breve .
 
Interverranno a presentare il volume di immagini e opere poetiche PAOLO BATTAGLIA, LA TERRA BORGESE e TOMMASO ROMANO.
 
Moderatrice JOEY BORRUSO.  
 
Saranno presenti le poetesse e i poeti che hanno partecipato a questo progetto culturale.
 
Ingresso libero.
 
(Nelle foto l'invito e la locandina ufficiali dell'evento culturale).

sabato 3 novembre 2018

ARTICOLANDO ( 27 ) : RECENSIONE DEL DOTT. FRANCESCO CAMAGNA ALLA SILLOGE SULITA' DEL POETA NINO DE VITA





Articolando

Articolando, è una nuova rubrica per dar voce a tutti gli amanti della poesia, dell'arte, della storia, della pittura, della critica letteraria attraverso recensioni, relazioni e articoli strettamente culturali.
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In questo n. 27 rincontriamo il Dott.  FRANCESCO CAMAGNA  con una sua  recensione al libro
"SULITA'" del poeta marsalese NINO DE VITA, 2017 Edizioni Mesogea




Proficua e sana  lettura a tutti voi!






Recensione del Dott. Francesco Camagna alla silloge poetica “Sulità” del poeta  Nino De Vita

 
Ci sono solitudini e solitudini. Alcune ricercate a lungo, quasi agognate, altre esistenziali. ”Ognuno sta solo sul cuor della terra” scriveva Salvatore Quasimodo, evidenziando una condizione comune a tutti gli uomini durante il loro breve passaggio sulla terra.
Le “sulità” di De Vita sono situazioni di esclusione dal contesto delle relazioni umane, dalla fratellanza con gli altri, subite involontariamente, determinate dalle circostanze, dal destino avverso, dall’indifferenza, dalla cattiveria.
Con questa raccolta( ed. Mesogea 2017) il poeta, nel dialetto di Cutusio, una delle innumerevoli contrade del marsalese, in cui egli è nato ed ha sempre vissuto, continua un’opera di custodia e recupero della memoria sia linguistica che storica, sia individuale che collettiva, iniziata trent’anni fa quando, dopo alcune felici esperienze poetiche in lingua italiana, culminate nella raccolta “Fosse Chiti”, che incontrò l’apprezzamento di Giovanni Raboni, decise di passare al dialetto.
E se la produzione in lingua italiana era caratterizzata da un’impronta naturalistica, quasi bucolica, quella nella parlata di Cutusio appare decisamente virare verso un contenuto decisamente narrativo: la storia fa irruzione nella sua poetica in modo dirompente, presentando un universo di personaggi e trame contraddistinte da pathos, commozione, descrizione dettagliata delle scene attraverso sequenze che assumono , a volte, per la loro estrema precisione , una valenza quasi cinematografica.
E’ una poesia che potremmo definire epica, nella quale i protagonisti non sono eroi, figure straordinarie, ma si possono considerare espressione di un’epopea dei vinti, quasi nel senso verghiano del termine. Ne esce fuori una sorta di Spoon River dei viventi. Sono personaggi che hanno fatto esperienza del dolore e ne portano i segni, nei termini di una frattura, all’interno delle loro vite, che non viene ricomposta. Nulla si aggiusta, si verifica soltanto un adattamento, un assestamento. Il poeta diventa ,talvolta, anch’egli un personaggio delle storie raccontate, dialoga, interagisce, si muove con profonda compassione all’interno delle vicende,anche quando usa un tocco delicato d’ironia. Con grande maestria ci conduce verso il finale delle storie, ma quasi mai lo svela e lo lascia all’intuizione del lettore. L’ambientazione è sempre, come nelle raccolte precedenti, quella di Cutusio e delle contrade vicine.
Tra i ventiquattro racconti in versi che si dipanano musicalmente attraverso l’utilizzo sapiente del settenario, verso scelto da De Vita per dare ritmo alla narrazione,compaiono, accomunati dalla matrice comune della solitudine dei protagonisti, diversi temi : ad esempio la privazione dell’amore materno in “Michileddu”( “E quannu chiama tu, chi fai, cci vai?/Cci jia. Ora un ci vaiu cchiù, picchi /idda chiama, mi chiama/ e poi ‘un si fa attruvari.); la povertà in “Dommianu”, le liti familiari in “A sciarra”; l’amore non corrisposto in “U rrialu”, dove il regalo comprato per l’amata( “ U tinia nna sacchetta ra bbunaca/rintra  una scatulicchia /cu ‘a màttula) rimane imprigionato nella tasca del protagonista dopo che questi ha compreso, attraverso un gioco di allusioni, che la donna ama un altro; la perdita della vista in “Bbettu” dove il protagonista, diventato cieco in seguito allo scoppio fra le sue mani di un ordigno bellico, afferma di ricordare tutte le cose che vedeva un tempo: anche quelle più piccole come le bolle dell’acqua quando pioveva forte,  le faville del fuoco, i colori del vestito che sua madre metteva per le occasioni più importanti.
Anche i libri, magistralmente descritti nella poesia  “I libbra”, sono soli, vivono una condizione di abbandono, disprezzati come materia inerte, lasciati ad ammuffire negli scaffali. E la loro solitudine diventa la solitudine delle tante vite in essi racchiuse.
“I libbra stannu suli, comu chiddi/ chi sunnu disprizziati, l’angariati,/stritti ne ligna muti...
Hannu tristizzi i libbra/ ch’unni puemu fari scenti,/dulura linzittiusi.
Gnunianu trisora, l’allisciati/ ri chiddu chi calatu/ a pinzari, a nchiappari/nne fogghi,sapi chi/cci sunnu.
Esperienze dolorose che vengono vissute all’interno del microcosmo di Cutusio : luogo dove nasce la Poesia, cui fornisce l’humus sia dal punto di vista dei contenuti che  sotto il profilo linguistico. Il poeta preserva ,ad un tempo, la memoria delle piccole storie e delle parole ad esse associate: parole che i giovani sconoscono, fortemente ancorate nel passato, arcaiche, ma che,proprio in forza di ciò, hanno una straordinaria forza evocativa del dolore contenuto in questi umanissimi racconti. Dolore che la Poesia non può cancellare, ma che può invece comprendere e raccontare empaticamente come espressione di una sofferenza individuale e particolare, che diventa universale.
 
Francesco Camagna

(Nelle foto: dall'alto il Dott. Francesco Camagna, la copertina della silloge poetica SULITA' e l'autore NINO DE VITA).
 
 
 

lunedì 22 ottobre 2018

A PALERMO PRESSO L'HOTEL JOLI' SI PRESENTA IL VOLUME "ALLA RICERCA DEL BUON TEMPO PASSATO" A CURA DEL PROF. GIUSEPPE PAPPALARDO








Martedì 23 ottobre 2018 a Palermo presso la sala '900 dell'Hotel Jolì di via Michele Amari n. 11, la Prof.ssa Ida Rampolla del Tindaro  presenta il volume di proverbi dialettali raccolti dagli alunni dell'I.C.S. di Ragalna (CT) a cura del poeta Giuseppe Pappalardo
 
Ingreso libero.
 
(Nelle foto: la locandina dell'evento con illustrazione del pittore Edoardo Dispenza e la copertina del volume con un dipinto di Giuseppe Pappalardo.

venerdì 19 ottobre 2018

A PALERMO ALLA FONDAZIONE GIUSEPPE E MARZIO TRICOLI L'ACCADEMIA NAZIONALE DI LETTERE,ARTI E SCIENZE "RUGGERO II DI SICILIA" PRESENTA IL LIBRO DELLO SCRITTORE GIUSEPPE ALBA: "I LUOGHI DELLA SORGENTE DELLA BORGATA ACQUASANTA A PALERMO"









Sabato 20 ottobre 2018 alle ore 17.00 a Palermo presso il Salone della Fondazione "Giuseppe e Marzio Tricoli" in via Terrasanta n. 82, si svolgerà la presentazione del libro dello scrittore  Dott.Giuseppe Alba dal titolo "I luoghi della sorgente della borgata Acquasanta a Palermo"
 
Introduzione del critico letterario Prof.ssa Enrica Egidi.
 
Incontro  supportato dalla  proiezioni d'immagini ed organizzato dall'Accademia Nazionale di Lettere, Arti e Scienze "Ruggero II di Sicilia" Palermo presieduta dall'Ing. Giuseppe Livreri.
 
A chiusura dei lavori, seguirà Cocktail.
 
Ingresso libero.
 
(Nelle foto dall'alto: la copertina del volume, l'autore Dott.Giuseppe Alba e il Presidente dell'Accademia Ruggero II Ing. Giuseppe Livreri.) 

martedì 16 ottobre 2018

ALLA GALLERIA LETTERARIA DI TRAPANI RELAZIONE DI FEDERICO GUASTELLA AUTORE DEL VOLUME "IL MITO E IL VELO. Simboli e leggende"




Domenica 28 ottobre alle ore 17.15 a Trapani in via G. B. Fardella n. 195, nell'ambito della 2^ Rassegna "Galleria Letteraria" 2018 /19, si svolgerà l'incontro culturale "IL MITO E IL VELO. Simboli e leggende" notturno" con una relazione di Federico Guastella autore del volume.

L'evento è introdotto dal poeta e traduttore MARCO SCALABRINO curatore della rassegna con la collaborazione della pittrice ROSARIA LA ROSA Presidente dell'Associazione "L'Urlo di Rosaria", con il patrocinio dei Comuni di Trapani ed Erice.
 
Ingresso libero.

(Nella foto: la locandina dell'evento culturale)

domenica 14 ottobre 2018

A PALERMO ALLA FONDAZIONE MARZIO E GIUSEPPE TRICOLI SI PRESENTA IL VOLUME "FULGORI D'UNA PULSAR " DI ALDO GERBINO






 
 

 
Giovedì 18 ottobre 2018 alle ore 17.00 a Palermo in via Terrasanta n. 82, presso la Fondazione Marzio e Giuseppe Tricoli si presenterà il volume di ALDO GERBINO "FULGORI D'UNA PULSAR", tredici testi per tredici dipinti di ENZO TARDIA.
 
Interventi di Piero Longo, Tommaso Romano e Aldo Gerbino.
 
Modera  Vinny Scorsone .
 
Saranno esposte alcune opere del pittore  ENZO TARDIA.
 
Con la collaborazione di Thule Cultura, Fondazione Giuseppe e Marzio Tricoli e l'Associazione
Culturale Studio 71 galleria e biblioteca d'Arte.
 
Ingresso libero.
 
(Nelle foto: l'invito dell'evento culturale e l'autore Aldo Gerbino).
 

ARTICOLANDO ( 26 ) : RECENSIONE DEL PROF. GIOVANNI TERESI ALLA SILLOGE POETICA "L'AIRONE CELESTE" DEL POETA, SAGGISTA ED EDITORE TOMMASO ROMANO











Articolando

 


Articolando, è una nuova rubrica per dar voce a tutti gli amanti della poesia, dell'arte, della storia, della pittura, della critica letteraria attraverso recensioni, relazioni e articoli strettamente culturali.
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In questo n. 26 ritroviamo il Prof. GIOVANNI TERESI latinista e storico con una sua recensione alla silloge poetica del poeta, saggista ed editore TOMMASO ROMANO dal titolo "L'AIRONE CELESTE", edizioni All'insegna dell'Ippogrifo,2018. Una proficua lettura a tutti voi!







Recensione di Giovanni Teresi all’Airone celeste

 

 

La lirica di Tommaso Romano è la poesia dell’esperienza in un universo simbolico nel quale prende dimora e di un rapporto di inferenza tra il piano emblematico e l’iconico: “Il sogno regale nel sogno/ si schianta nella terra arsa/ in realtà dove non scorre fiume/ e il mare s’è fatto ghiaccio./…/ la parola può consolare e salvare forse da carestie e sete non al Destino velato/.

La matrice messianica di “erchomenos” (il “veniente”) è messa in relazione al complesso concetto di “kairós” (istante a-temporale): “L’alba senza risveglio/ porterà raro volto alla luce/ …/ E. Allora/Vegliate alla notte/ per un verso soltanto/ in tempo d’Avvento.”

Il “Lógos” implica dunque che l’armonica compenetrazione tra mondo e linguaggio – pensiero (“adequatio intellectus rei”) è qualcosa che si dà sempre e soltanto a posteriori. “ Non bruciate le carte/ fu auspicio e grido/ non bruciate questo mosaico/ non smembratelo, non disperdetelo/ è amato come perfezione possibile/ s’accresce/ come graal d’anima mia …/”.

Con i ricordi, i sogni, le riflessioni, il Nostro torna spesso sulla esperienza onirica:

“Noi che parliamo natura/ senza viverla penetrarla/ nei boschi, nei mari/…/ Noi che diciamo sognare/ e ci misuriamo/ con le ore a scadenza/…/Noi essenza/ noi anima pura/ innocente compassione,/ di ciò che volemmo quale destino.”

Inoltre la conciliazione tra singolare e universale, che non può avvenire sul piano della ragione assoluta, in alcuni versi va ricercata in una “nuova mitologia”: “Lente fluiranno le ore/ tornando fedele a leggerti,/ o mare,/ piacere e tempesta/ dagli abissi si placheranno/ e tu, invocata sirena,/ diverrai compagna.” “ Trapasseranno millenni/ le consolidate fondamenta/ per sbriciolarsi implacabili/ ai colpi della dissoluzione/ di tracce che resistono/ e che ora fanno polvere, rovina/ al Prometeo senza lacci/ e catene/ libero ed ebbro/ di mutazioni solo apparenti …”

Credo, inoltre, che le dichiarazioni in alcune liriche del poeta Tommaso Romano siano più che altro formula apotropaica: “La carta fu l’incontro/ e alla carta ferita d’inchiostro/ si torna/ talismano/nell’eterno ritorno all’eguale,/ d’una notte occulta.” “Il sonno degli Dei/ la natura che batte i colpi/ ad una sventurata età./…/”

L’io esperiente del Nostro è ricorrente in molte sue poesie e segue una linea speculativa che si è formata attraverso i suoi studi di grandi autori come Schelling e Hölderlin, Nietzsche, come afferma lo stesso autore: “Mi nutro di libri, del loro dolore; compagni di viaggio, amanti da accarezzare in un incessante andare.” e

Questa presenzassenza/ immobilizza/ trascende ed esalta/ misticamente/…/ All’impersonale abdicare/ al desistere.”

Dinanzi alla crisi di valori ed idee della società moderna, Tommaso Romano, con la sua nuova silloge “L’airone celeste” offre al lettore il recupero della poesia ed il senso delle cose: “Non rimarrete immobili/ o care piccole, nobili cose/gioie d’un incontro/ d’un momento che dura/ finché vita …/ Troverete altre dimore,/ non esibitevi,/ non serve.” e di riappropriarsi della memoria, di avere un ruolo nella dimensione cosmica: “La poesia è/ una forma di ritratto/d’altri/ o un autoritratto/ che vogliamo consegnare/facendoci scudo/del nostro umanesimo/ errare/…/”.

Il valore della poetica ci immette in uno spazio retorico ove ogni gesto, ogni atto sono affidati alle loro essenze che vivono di significati lontanissimi, attivi e inesauribili. L’arte interpreta la vita, la fa parlare, chiede che mostri l’origine del suo accadere. Nella lettura ed analisi del testo lirico del Nostro mai si avverte il distacco della memoria, e si fa chiara la sua intenzione che ciò che cerca è quel “ po’ di luce vera” che si nota come immagine del tempo. Tempo poetico che è memoria. Il poeta crea con i suoi versi un ritmo del tempo, del suo emergere, delle sue accelerazioni e del suo sprofondare: “Il tempo pare si sia fermato, dicono/qui,/ il tempo vive come noi vogliamo/vivere il tempo/controvento se il caso è mare/ pari al lungo disfarsi …”

“Ben altro alla coscienza si deve/ ben altro narrare/nell’ambigua comprensibilità/ negli scarti percettivi./ Non smarrire lo sguardo/ annegando,/ di memoria/ di spirito del mondo./”

La lirica di Tommaso Romano è un atto di rinascita e di speranza:

“Lascia sulla carta/ciò che penso/senti/e percepisci,/ oltre/vedrai un mondo/nuovo e antico/musica celestiale/pura/oltre il suono/là/ti troverai/senza tempo./”, ed anche di rifiuto della morte: “Nel segmento del vuoto/altro e altrove/di parole inessenziali/c’è tutto il dover sfuggire./ Non si placa lo sdegno/al banale,/altro e altrove/è il sopravvivere.”

La sua poesia è pure il recupero della parola come evento spiazzante, come il volo senza requie degli uccelli migratori: “Fremiti d’increspature/luminose/sfiorano lo specchio d’acqua/…/rovesciata sull’erba ai bordi/ è la bianca barca/l’osservano i cigni e i gabbiani/bianche del luogo/assaporano l’ultima estate/che si è consumata aspettando nuovi soli e nuovi cieli …/”.

Arte e psicoanalisi s’incrociano là dove non esiste ancora la distinzione tra reale e fantastico, semmai pura energia dell’inconscio per creare e giungere a far risuonare la parola primigenia:

“La scrittura insegue così/e cerca l’intarsio/di ciò che ragione allontana/in apollinea forma misurata/ai passi lenti/nel labirinto incantato d’un giardino/…/ Ma cos’è un regalo bellissimo?/ Parole di un libro introvabile/ o le pagine bianche/di un almanacco/in scadenza,/…”

L’emozione linguistica è rappresentata come una carezza che si insinua impercettibilmente a svegliare il nucleo profondo dell’interiorità:

“Basta l’incontro/breve d’uno sguardo/per incidere verità/a tanti schiamazzi …/false opinioni/…/ Rivestire d’una lieve luce/l’attimo nell’opaco cammino,/a compimento.”

Così, seguendo è il senso linguistico della metamorfosi:

“Metamorfosi gentile/un abbandonato anfratto/fra reperti che sembrano/museali/ …/ Ritorna la vita/alla polvere/colma di umanità discreta/d’amore senza usure/vivono i luoghi/e danno senso/alle offese gratuite …”.

È nel tempo che le cose si dileguano, ritornano, si sottraggono, rinascono alla sua luce. L’occhio del poeta Tommaso Romano non può vedere che il tempo scorrere; se in questo tempo le cose appaiono, è per accendere la sua gloria:

“… educati al sapere aspettare/naufraghiamo convinti di resistere/agognando resurrezione ipotetica/in rinuncia pesante./ Come dare un senso/alla perseveranza del vuoto?/Arrovellandosi che qualcosa accada/nel solito teatro del tempo/affastellando parole e gesti/e cose superflue pensate allo scopo/ tutto passa lo stesso/nell’horror vacui dell’attesa/ e consunta abitudine./”

“Eppure,/nel limite del tempo/l’attesa che non si compie/riapre il canto sospeso/al Kairos senza fine/…”

Se è il tempo a dare tono e unità all’accadere del verso, il motivo dell’intermittenza, motivo per eccellenza proustiano, ne sarà la chiave.

L’esercizio di pensare è proprio di ogni arte che sia tale, e lo è anche nella poesia. Qui la parola poetica diventa sia un mezzo per stabilire un significato dell’immagine non direttamente concretizzabile, sia l’espressione della sua essenza.

“D’estate all’ombra del sole/medito e compongo/interseco/intarsio/disfaccio/dipingo nella stanza proibita/in spirito che si fa carne/riluttanza e beatitudine/momentanea/librata al silenzio ascetico/…/”

Ed è in questo silenzio ascetico del Nostro che accade l’arte poetica che si manifesta quando la parola ed il verso sono indistinguibili dalle emozioni e da quanto li circonda:

“Libero airone/migri per poco dal borgo Aquileia/alle falde dell’Etna/a lambire acqua/e sfiorare lava/con lievi gesti/senza presunzioni/in cosciente cerca/di perfetta armonia/d’una bellezza/in verità,/ che l’appartiene./Uno sguardo disteso/un lieve tremore/gentile,/a presto/airone celeste/meraviglia d’uno/stupore inatteso/a presto,/prima che l’incantesimo/si disperda fra le brume/nelle nebbie/della residua memoria.”

Ed è l’abilità poetica, quella di trasformare un grido dettato dallo sconforto in carezza lirica di speranza, che arricchisce la creazione lirica di Tommaso Romano.

“Liberare intelligenza/ creare spazio/all’evento che redime:/lucente solarità/avvolge la terra ancora bagnata di sangue/purissimo, innocente./…/ È possibile,/ ora,/rinascenza,/ oh anima?”

Ma ciò che più scuote l’autore è la verità della luce: “Una luce/fioca e con lieve tepore/si manifesta semplice e improvvisa/avvolge l’incontro/a contemplare silenzio/consonanza nel celeste cosmo/l’Infinito indicibile/dà perfetta Bellezza / splendore in Verità …” “Contempliamo la luce fugace/fra due abissi/da cui veniamo e a cui andremo/invocando in futuro già passato/curiamo a volte l’ansia/consumiamo gelo e bruciamo fuoco/aspettando l’assenza/in un monologo stanco./”

Riguardo la poiesis  e i Poietai mi piace ricordare alcune citazioni di Platone:

“la creazione (poiesis) è qualcosa di molteplice. La causa per cui ogni cosa passa dal non essere all’essere è sempre una creazione, e che da essa una parte distinta, quella che riguarda la musica e i versi, è designata con il nome dell’intero. Solo questa è poesia e coloro che posseggono questa speciale parte della creazione sono detti poeti (poietai)” (Platone e il polemico confine tra poesia e filosofia p. 513).

Inoltre: “I poeti ci dicono che raccogliendo i canti da sorgenti che sgorgano miele da certi giardini e convalli delle Muse li portano a noi come le api, anche loro così volando; e dicono la verità” (Platone – La poesia come ispirazione divina – Ione, 534 a 534 d.).

Solo la poesia utile all’educazione, la poesia il cui contenuto corrisponde alla virtù e ai valori della verità, può risultare edificante come la raccolta poetica “L’airone celeste” utile alla vita pubblica ed umana nella quale l’autore è riuscito a ridurre la distanza antologica tra immagine ed idea:

“Ciò che resta/ va vissuto senza dilapidare/ bruciando/ al lume del mattino/ ancora senz’alba/ la notte che si consuma veloce/ l’insonne attesa/  il filo da riannodare/ ai sogni che cercano parole/ nel tempo di Eraclito/ rapido, liquido, impalpabile./

L’essenziale,/ senza girovolte e orpelli.”

“Vegliare le serene notti, vuol dire entrare in comunione con la natura, contemplare la bellezza universale, osservare incuriositi il mondo in cui viviamo, studiare ed immaginare, cercando, sempre con infinita umiltà, di imparare da ciò che ci circonda qualcosa che possa stimolare la nostra mente, arricchire la nostra anima, impreziosire la nostra stessa esistenza.”  (dal II volume “Luce del Pensiero” – Tommaso. Romano)

 
Giovanni Teresi
 
(Nelle foto : dall'alto il Prof. GIOVANNI TERESI , il poeta, saggista ed editore TOMMASO ROMANO autore della silloge poetica "L'airone celeste").



 

domenica 7 ottobre 2018

ARTICOLANDO ( 25 ) : ARTICOLO DELLA PROF.SSA GABRIELLA MAGGIO AL FILM "UNA STORIA SENZA NOME" DEL REGISTA ROBERTO ANDO'









Articolando

 
Articolando, è una nuova rubrica per dar voce a tutti gli amanti della poesia, dell'arte, della storia, della pittura, della critica letteraria attraverso recensioni, relazioni e articoli strettamente culturali.
Chiunque volesse pubblicare può farlo mandando i propri scritti all'indirizzo di posta elettronica
tonycausi@alice.it grazie!


In questo n. 25 la  Prof.ssa e poetessa GABRIELLA MAGGIO ci offre un articolo dedicato all'ultimo film del regista palermitano ROBERTO ANDO' dal titolo "UNA STORIA SENZA NOME" uscito recentemente nelle sale italiane.







Buona lettura a tutti voi!








UNA STORIA SENZA NOME

(Gabriella Maggio)

Una storia senza nome, presentato quest’anno  fuori concorso a Venezia, è il  sesto film di Roberto Andò, regista-scrittore palermitano, in proiezione in questi giorni nei cinema di Palermo. La trama affronta un evento reale, il furto della Natività  di Caravaggio dall'Oratorio di San Lorenzo a Palermo nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1969. La tela non è stata mai ritrovata, ma intorno a lei sono state costruite varie storie  che  conducono  alla mafia, autrice del furto. L’azione criminale  diventa il tema di una sceneggiatura cinematografica che Valeria/ Micaela Ramazzotti  scrive per lo sceneggiatore a corto di idee Pes /Gassmann. L’idea le è stata fornita in maniera apparentemente casuale dal misterioso Rak/ Carpentieri , che presto si rivela l’animatore  della storia.  La  trama si arricchisce coinvolgendo il mondo stesso  del cinema, rappresentato nell’atto di trasformare un buon soggetto in film. Perciò sono riportati i retroscena della produzione, la ricerca dei capitali, la regia, le riprese  fino alla Prémiére che conclude la storia. Il film è  nel suo complesso una affettuosa celebrazione del cinema in tutti i suoi aspetti comici e seri,  con diversi cammei e remake- flash, fino al film nel film  girato  dal regista- attore Jerzy Skolimowski. Non mancano nella trama  le peripezie tipiche del “giallo”, perché la mafia vuole impedire la realizzazione del film. L’intreccio dei vari temi  avvicina Andò ad Hitchcock,  di cui  condivide  il senso della complessità e insondabilità dell’esistenza.  Una storia senza nome richiede più che uno spettatore coinvolto un attento osservatore con una buona conoscenza del cinema nazionale ed internazionale. Alla narrazione filmica dà spessore la potenza comunicativa della colonna sonora composta da Marco Betta*.  Il film ripropone il sodalizio  tra Roberto Andò e Marco Betta che  annovera già  diverse prove artistiche di rilievo  quali Viva la libertà, per cui il compositore ha ottenuto la nomination  come migliore colonna sonora,  Il quadro nero, Sette storie per lasciare il mondo, Il manoscritto del Principe. In Una storia senza nome  la musica di Marco Betta sottolinea le scene del film  e le completa,  le arricchisce  del  punto di vista del compositore, che si pone come co-creatore del  film, conferendo sfumature e prospettive che le parole e le immagini non esprimono non per un difetto d’uso, ma per la natura  stessa della  loro specificità comunicativa. Il film si avvale anche della bella  fotografia di Maurizio Calvesi.


*Socio del L.C. Palermo dei Vespri
(Nelle foto: dall'alto la critica letteraria e poetessa Gabriella Maggio , il regista Roberto Andò e gli attori Micaela Ramazzotti e Alessandro Gassman -foto @ComingSoon.it- )